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04/02/2011

I                                                                                                                              CASSAZIONE IN PILLOLE   2011

                                                                                             ACCERTAMENTO INDUTTIVO PER LE AZIENDE CHE USANO IL LAVORO NERO

A CURA DEL CENTRO STUDI ANCL SU REGIONE CAMPANIA “ON.LE V. MANCINI
sentenza 2593, sezione Quinta, del 03-02-2011((D.p.r. 600/73, art. 39))


Legittimo l’accertamento fiscale con metodo induttivo nei confronti di un contribuente che sfrutta il lavoro nero. Infatti il divieto di doppia presunzione attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice e non può ritenersi, invece, violato nel caso, quale quello di specie, in cui da un fatto noto (presenza di un dipendente non regolarmente assunto per il quale la stessa contribuente ha ammesso la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata) si risale – peraltro in funzione di una presunzione legale, seppur relativa- a un fatto ignorato (maggiore redditività di impresa e non semplicemente maggior costi per retribuzioni, come ha prospettato in memoria la ricorrente). “
Così  ha sancito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 2593 del 3 febbraio 2011,ha respinto il ricorso di un’artigiana pugliese che aveva pagato in nero un dipendente. La donna, che aveva un’attività di manifattura di biancheria, aveva un lavoratore in nero al quale aveva corrisposto uno stipendio senza che questo fosse contabilizzato. Si era vista spiccare dall’ufficio delle imposte un accertamento per la maggior Iva, Irap e Irpef. La contribuente lo aveva impugnato e la commissione tributaria provinciale le aveva dato ragione, annullando l’atto impositivo. Poi l’ufficio delle Entrate aveva presentato ricorso alla Commissione tributaria regionale della Puglia e qui le cose erano andate diversamente. I giudici tributari avevano infatti accolto i motivi presentati dal fisco, riabilitando l’atto impositivo. Sostenendo che il lavoratore in nero rappresentava un costo deducile, la donna ha fatto ricorso in Cassazione. La sezione tributaria lo ha respinto integralmente, affermando invece che, non solo il lavoratore “clandestino” non è un costo deducibile ma che questo fa senz’altro presumere un maggior reddito legato a un maggiore volume d’affari.

 
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